le mie Marche

Il futuro dei borghi e dei paesi delle Marche

Paesaggi e Architettura

Un tema che mi sta molto a cuore ultimamente e che forse è dovuto al fatto di lavorare in uno studio di architettura è il futuro dei borghi, dei paesi e dei centri storici delle città e cittadine delle Marche, quest’ultime infatti hanno il nucleo centrale , spesso fortificato, che assomiglia a quello dei paesi, meno popolati forse ma con identiche dinamiche morfologiche/abitative.

Non so perché mi viene in mente  Gibellina, in Sicilia,  ovvero il  punto zero o  nullo  cui qualunque  urbanista, politico o amministratore deve partire per riflettere sul tema in questione: quale futuro attende il cuore di ogni paese, borgo o città che si rispetti nella nostra regione?
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Mi spiego meglio:  Gibellina è un paese che nel 1968, in seguito ad un disastroso  terremoto nel Belice, fù talmente distrutto che gli amministratori decisero di ricostruirlo 25 km più in là in una piana afosa  e paludosa.  Una colata di cemento e ferro : palazzi in brutto stile anni ’70, squallidi e senz’anima, come la periferia di una metropoli. Quel che resta della vera Gibellina, ovvero del paese originario che si trovava in alto di un colle,  è ora  il cretto di Burri,  l’opera di un grandissimo artista :  un’altra colata di cemento , questa volta grigio  e puro ,  che avvolge come un sudario la collina dove prima sorgeva il paese distrutto dal sisma.  Quando lo vidi per la prima volta ne rimasi scioccata. Veramente. Forse perché anch’io avevo sperimentato il terremoto: nel ’72 in Ancona. E mentre vedevo queste sagome, queste forme geometriche attraversate da solchi che  rappresentavano le antiche  vie,  pensavo  a quei momenti di terrore puro, il boato, la terra che si muoveva , le  case che crollavano, i cani, i bambini, gli asinelli.  Tutti  morti. Un sacrario. Ma non era solo il senso di morte che mi aveva turbato era soprattutto la reazione , quella volontà di chiudere una ferita che la natura aveva aperto,  in un modo così poco cristiano: non c’era resurrezione, nessuna volontà di recupero, di progetto, di futuro. Era morta pure l’anima. Che cos’è l’anima di un paese? E’ anche la vita che ritorna, che si perpetua, subisse anche una pausa di cinquant’anni o un secolo,  come molti  vecchi edifici storici, come è successo  alle nostre case coloniche, ad esempio.
Gibellina invece era stata sepolta definitivamente con  Burri. E questo mi ha profondamente scioccato.
Il sindaco di Gibellina  Ludovico Correo , quasi a scusarsi per non aver ricostruito sulle ceneri dell’antico paese, disse:   “ Non c’era niente da conservare, solo i valori della solidarietà, della famiglia, del lavoro. Il resto era miseria e oppressione.”
Andando via dalla vecchia Gibellina distrutta si illudevano di cambiare vita? Modernizzando lo stile delle case forse credevano che la loro vita potesse prendere una svolta?  Ma molti superstiti raccontano che nel nuovo luogo prescelto  non riuscirono mai ad adeguarsi: mancava una piazza, un albero, un luogo di aggregazione, gli mancava il paese o forse l’anima.
L’opera di Burri  poi cristallizzò in maniera tragica quell’anima rendendola irrecuperabile. Senza quel cretto  si sarebbe potuto sperare che qualcuno,  un giorno, decidesse di ritornare. Invece così il destino di Gibellina fù davvero segnato.
Nelle Marche per fortuna questo non è accaduto. Il terremoto del ’72 in Ancona e poi quello umbro- marchigiano nel 1997 permise  di recuperare molti vecchi edifici dei centri storici danneggiati, a cui magari fù tolta la patina del vecchio tramutatasi nel classico “ vecchio di zecca” che tanto piace ai geometri,  ma  il  sisma non annientò la speranza e la forza di rivedere un’altra volta in piedi ciò che la natura aveva distrutto, dunque la reazione fù psicologicamente più forte, più marcata. Sono due concezioni di pensiero che ne scaturiscono: la Sicilia trae origine dai greci, da una visione tragica  della vita più legata al destino, alla rinuncia al riscatto dal male , tipica poi del mondo bizantino e platonico che si è trasmessa alla cultura slava fino al nichilismo russo di Dostoevskij.
Quella marchigiana è legata al cristianesimo e al cattolicesimo dove l’uomo con la sua azione può riscattare la sua anima e salvarla, quindi è nella terra già la speranza, e quella speranza dipende anche da lui, non solo dal destino che Dio gli ha dato.

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Ciò che con questo voglio dire è che nessuno poteva prevedere che le case coloniche, dopo la legge De Gasperi sulla mezzadria che ne decretò la sua fine negli anni ’50, potessero ritornare a riassumere la loro funzione abitativa, ormai più del 60% di queste sono state recuperate e il fenomeno non è destinato a calare, nonostante la crisi, la richiesta di case coloniche è sempre alta. Un fenomeno impensabile solo 40 anni fa. Chi avrebbe detto, negli anni ’70, che un decennio prima del 2000 sarebbero venuti giù da tutta Europa e dal resto del mondo così tante persone a vivere in campagna? Nelle Marche poi?

Ricordo la reazione di un agente immobiliare tout court quando le dissi della mia idea di trasformare le Marche in una nuova Toscana, anche se non volevo farne una copia, perché le Marche erano diverse e questa diversità andava e va continuamente analizzata ed esplicata. Le Marche sono le Marche e necessitano di una loro identità ben precisa che è possibile definire solo recuperando in pieno la sua storia e la sua arte ,  facendola conoscere.

PALAZZO Non dobbiamo copiare nessuno, non ne abbiamo bisogno. Certo non sarà sempre solo identificandola in una regione agricola e industrializzata assieme, la cosiddetta industrializzazione senza fratture, che potremmo recuperare la nostra identità. Alle volte sembra che il nostro passato sia stato volutamente rimosso per non so quale ragione. Forse per questa innaturale prudenza come diceva il Leopardi, temendo chissà quale sconquasso. La regione è stata anche terra di libertà e di processi di pensieri diversi dal cattolicesimo imperante, specie nella costa, è legata molto più di quanto si creda alla repubblica di Venezia, all’oriente e alla Grecia, se ne possono trovare infiniti reperti in Ancona ad esempio. Gli ebrei trovarono qui un luogo dove poter vivere e scambiare i loro commerci. E’  tutt’altro che una regione monocorde come superficialmente si può pensare,ma è una regione occulta, sotterranea, con interessanti filoni di pensiero. Ma proprio perché occulta, fatica a venir fuori, lasciando solo quella patina di ignoranza e faciloneria che, ho detto più volte, si è talmente cristallizzata che occorreranno anni per modificare la sua immagine.
Le Marche sono invece terra di cultura, legata molto ai suoi centri storici, dove si trovano i teatri e altri luoghi storici di aggregazione e informazione: le biblioteche.
Quello che sto notando, ultimamente, con molto sconcerto, sono le volontà di alcune amministrazioni locali  nel  voler trasformare i centri storici dei paesi e cittadine in nuove Las Vegas.  In  una recente intervista, un assessore del Comune di Jesi ha dichiarato che l’intento della sua giunta è quello di tramutare il centro storico medievale come la città sorta dal nulla circa 50 ani fa nel deserto del Nevada, piena di locali e casinò. Ne sono rimasta particolarmente impressionata

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Così, quello che non fece il terremoto,  lo sta compiendo  l’amministrazione  comunale : mandare via i cittadini. Una sorta di cacciata che può essere descritta in una parola greca exoikismòs , una parola del linguaggio biblico, usata per designare la diaspora degli Ebrei. Il verbo corrispondente exoikìzo, è usato in greco ( per esempio in Platone) per indicare l’atto politico di scacciare una città dai suoi abitanti. Perché è vero che se riempiamo il centro storico di pizzerie e birrerie, con gli astanti che parlano fino a notte fonda sulle vie e sulle piazze del centro, i poveri residenti smettono di dormire e prima o poi se ne vanno a vivere da un’altra parte. Magari in quelle anonime periferie stratificatesi orizzontalmente a macchia d’olio, senza nessun progetto urbano, senza una piazza o un centro di aggregazione ( come la nuova Gibellina) e ciò che si perde è molto più di quello che si pensa. Si perde l’idea stessa della civitas, del sociale e della solidarietà, del senso di appartenenza, della cittadinanza,  del diritto stesso, del diritto alla città in primis, ma del senso del diritto e anche del dovere che porta avanti una nazione, perché è nella città che si riunisce l’amministrazione comunale, nel palazzo centrale della città, cioè dell’urbs , la città cinta di mura, così importante per noi marchigiani. Praticamente un simbolo. Il simbolo di ciò che siamo. Finora questa consapevolezza di appartenere ad una città o ad un paese  ci ha dato una visione del passato ma anche del futuro.  Che futuro ci aspetta se questa città mette al centro di tutto e nel centro di tutto il solo commercio? Le indicazioni saranno sistematicamente quelle che offre la città di Las Vegas: il denaro e poi ancora solo denaro. L’uomo è solo se ha denaro. Può entrare e godere del centro solo se ha denaro.

Dove sono andate quelle iniziative atte ad attirare i giovani e i meno giovani delle passate amministrazioni? Quelle che davano addirittura finanziamenti a tassi agevolati se acquistavi e restauravi nel centro storico, e la famosa tassa fissa per le spese notarili?
Tutto questo mi ricorda molto la città di Venezia, dove ormai vivono in gran parte i resisdenti ( sorta di unione di due parole: residenti-resistenti) e gli extracomunitari.
Venezia da città all’avanguardia quale è sempre stata nell’ era moderna, ci ha mostrato in anticipo il futuro ormai segnato dei nostri borghi e centri storici, ed è davvero triste non poter dire: no qui è diverso se noi cittadini non vi porremo rimedio. Anche andando contro la volontà di queste incaute amministrazioni.
Meglio sarebbe se invece i nostri governanti locali non facessero niente, sarebbe il male minore. Pensate se in questo mirabile sonno di cinquant’anni  qualche amministratore locale particolarmente volitivo avesse pensato di tramutare le nostre migliaia di case coloniche in piccoli casinò o destinazioni di simil genere. Ora non avremmo questa mirabile rinascita.
Quando non si hanno idee migliori è meglio che tutto resti com’è, in Italia siamo stanchi delle improvvisazioni di politici che vengono votati da quattro gatti, compresi i loro familiari. Il senso della civitas si sta spegnendo: l’italiano va sempre meno a votare  infatti, ed è un segno questo, dell’americanizzazione che avanza inesorabile.
Il futuro abitativo delle Marche dunque confluirà  tutto nelle villette a schiera?

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