Ne ” la scuola di Atene” il celebre affresco dipinto dal Raffaello, situato nella Stanza della Segnatura, ora Musei Vaticani, molti sono i personaggi che rappresentano, sotto mentite spoglie , la Roma dei primi del Cinquecento.
Uno di questi è Angelo Colocci, originario di Jesi, appartenente ad una delle piu’ importanti famiglie patrizie della piccola citta’ delle Marche.
Si trasferisce a Roma già molto giovane e riveste incarichi pontifici di notevole importanza, questo gli permette, oltre una certa disponibilità economica, di essere a contatto con personalità illustri del tempo che gravitano attorno a Papa Giulio II. Nel frattempo Colocci, appassionato umanista, coglie l’opportunità di prendere le redini della rinomata Accademia Romana che fù da Pomponio Leto e nella sua villa vicino agli Horti Sallustiani, accoglie tutta la intellighenzia del tempo, complice una biblioteca che cura in modo maniacale, ricca di documenti e manoscritti antichi, che attira personalità del calibro di Andrea Fulvio, il cabalista Egidio da Viterbo, Pietro Bembo e Baldesar Castiglione, tanto per citarne alcuni.
L’aria è ancora densa di grecità , lo spirito del cardinal Bessarione aleggia nelle menti degli artisti in cerca di fama e negli animi di coloro che vedono in Platone e in Pitagora, nello studio dell’astrologia e del cosmo, nella numerologia e nella trasmissione di un sapere che discende dai greci e anche più indietro, in Zoroastro e nella cabala, negli avesta e nei miti degli egizi, qualcosa che lega Oriente ed Occidente da sempre insomma, ma che è stato drammaticamente interrotto dalla presa di Costantinopoli, la seconda Roma, da parte degli ottomani nel 1453, e che ha costretto molti alla diaspora, alla fuga di imperatori e prelati, nonché di famiglie intere di stirpe greca a cercare riparo a Venezia o a Roma, portando con sé poche cose ma preziose : reliquie di santi o antichi manoscritti che trovano riparo nelle biblioteche dei Montefeltro ad Urbino e dei Malatesta a Cesena , o saranno depositati in attesa della costruzione di nuove, quali la Marciana a Venezia a cui Bessarione affiderà tutta la sua inestimabile collezione.
Questo sversamento, questa trasmissione di testi in parte inediti e sconosciuti in Italia daranno l’avvio ad un “ rinascimento” culturale che non ha equali in altra epoca e che stimolerà arti e scienze per lunghissimo tempo , più di cento anni , e di cui Roma è in parte attrice ma anche contenitrice, nel senso di con/tenere, perché i testi greci stimolano l’ellenismo, ovvero il paganesimo, che è il nemico numero uno della Chiesa cattolica.( In antecedenza gli accademici di Pomponio Leto verranno arrestati con l’accusa di congiurare contro il Papa )
Ma Colocci a Roma si districa bene, è in contatto con Bramante che già lavora per la nuova pianificazione urbanistica di via della Lungara assieme ai Chigi, acquista terreni su consiglio del banchiere senese, è davvero una figura immersa nella progettazione di ogni cosa, che siano palazzi o affreschi, dibattiti o studi. Forse è per questo che prova a scrivere anche un trattato sulla sua più grande passione: i numeri, ma non riuscirà mai a portarlo a termine.
Giorgio Mangani editore in Ancona e storico del pensiero geografico, approfondisce la figura di questo aristocratico jesino , appassionato studioso ma riservato come gran parte dei cortigiani , giungendo alla scoperta di un particolare non di poco conto : è lui, Angelo Colocci, l’uomo che regge il cosmo nel celebre dipinto di Raffaello, “ La scuola di Atene” collocato nella Stanza della Segnatura al Vaticano – tra l’altro uno dei siti museali più visitati nel mondo – mentre conversa con un Tolomeo di spalle che tiene in mano il globo terrestre. Finora si era sempre indicato Strabone o Zoroastro. Era un marchigiano, come il Bramante e il Raffaello.
Un senso di appartenenza ad una comunità ci coglie a tratti, una conferma ulteriore verso una regione che fa della discrezione il suo stile di vita e che tuttavia ha sempre fornito un valido contributo alla costruzione della storia culturale del nostro paese.
Angelo Colocci viene rappresentato da Raffaello in quanto deve aver fornito le basi progettuali per la costruzione del dipinto stesso, il grande artista, allora ventisettenne, necessitava comunque dell’ausilio di esperti che forse lo jesino gli ha fornito attraverso la sua Accademia, come il già citato Andrea Fulvio, antichista e numismatico, o Tommaso Fedra Inghirami ( nel dipinto è Epicuro) esperto di scenografia teatrale, a cui dobbiamo forse quel senso del movimento prospettico dei due grandi filosofi nello schema centrale, ovvero Platone ( con il viso di Leonardo) e Aristotele ( ovvero Bastiano da Sangallo detto l’Aristotile) e la suddivisione dei personaggi da sinistra a destra tra aritmetici e geometrici, riuscendo ad immergerci nella società di quel tempo che è senza tempo al tempo stesso e ci pone degli interrogativi, politici e filosofici, che sono validi ancora oggi.
Forse oggi sopra ogni cosa.
Giorgio Mangani: “ La bellezza del numero” – Il lavoro Editoriale, 2018.