le mie Marche
Arte e Cultura

{:it}– Ma che cosa chiedi parere ai tuoi collaboratori che tanto fai come ti pare? –

Era sempre questa la domanda che poneva   Maria Simoncini a Dino Gavina, l’imprenditore sovversivo, così amava definirsi ,  quando riuniva i suoi collaboratori per chiedere loro un parere. In effetti faceva molto o tutto di testa sua,  il “lavoratore estetico”, come lo definisce il  giovane Sgarbi  nella prefazione al libro “ l’avventura del design : Gavina”, Jaca book.  “  l’industriale che  si occupa prevalentemente della vita quotidiana, protagonista della scena del “ paesaggio domestico”.

Mi viene da pensare che,  quando si parla di paesaggio, le Marche non so perché ne sono sempre coinvolte.

Sin da bambina ebbi a che fare con i mobili di Dino Gavina, indirettamente. La mia madrina e amica di mia sorella più grande,  gestiva, e lo fa  tuttora, un bellissimo negozio di mobili nel centro di  Ancona, dove si vendevano questi strani oggetti che a me suscitavano una grandissima curiosità.
Avevo dieci anni  e il tavolino con le zampe di gallina ad esempio, ( Traccia  di  Meret Oppenheim, musa di Man Ray)

mi trasportavano nel mondo di “Fantasia” di Walt Disney, di cui avevo visto il film proprio in quei tempi, immaginando che da un momento all’altro si intorcinasse in una piroetta e cominciasse a danzare.
Erano  i primi anni settanta,  nell’aria si respirava la libertà e  lo spirito dissacratorio, che segue sempre un periodo di straordinario benessere economico, aleggiava in ogni dove, anche nella mia Ancona.  E ciò lo vedevo in  famiglia, nei miei fratelli più grandi  tutti presi a rompere con la tradizione, a cominciare dai mobili:  mia sorella, al suo primo stipendio da impiegata, cambiò completamente la sua camera da letto:  sul bel pavimento di graniglia anni ’30 applica  una moquette rossa,   acquista uno strano letto in vimini dalla sua amica mobiliera, sostituisce l’abat-jour con la Flos , ovvero un filo di acciaio sulla quale scorre una lampada semovibile. Io la guardavo estasiata.  Ma era tutto questo  mondo di oggetti  che mi attraeva, linguaggi che mi dicevano provenire da un nord propositivo ,ovvero dalla ricca Milano portatrice di nuovi valori artistici;  e mentre  la mia nonna/ zia mi portava a vedere la tomba del Canova nella chiesa dei Frari a Venezia, i giovani pazzi della famiglia mi mostravano di riflesso  un mondo fatto di idee da cui scaturivano questi strani oggetti multiformi, alcuni dotati persino di pelliccia,  in bella mostra nel negozio vicino casa.
Non avrei mai potuto supporre allora  che molti di questi mobili non venivano fabbricati nella lontana  Milano, ma nella mia regione,  più precisamente a Calcinelli,  appena dietro Fano, e che la fabbrica si chiamava Simon International.

La Simon International nasce nel 1968 dalle  esperienze imprenditoriali della Gavina Spa, in seguito alla lunga collaborazione con Maria Simoncini, dalla quale prende il nome e che ne è amministratore delegato.
La Gavina spa intanto  viene venduta alla Knoll con l’intenzione di unire finanza e idee con Dino che ne diventa responsabile dell’immagine di entrambe le aziende, ma dopo poco tempo egli realizza quanto tutto ciò  sia più facile a dirsi che a farsi e forse proprio per questa sua  consapevolezza  nasce la Simon International. Un ‘ operazione  scaturita da un progetto “Ultrarazionale”, termine che esprime la volontà di andare oltre il razionalismo, pur mantenendo le regole dell’industrializzazione ,e che rivede forme e dimensioni.
Da qui   si stabiliscono anche le regole del design italiano che, secondo Gavina,  altro non è che un progetto industriale.
– Se devo fare 50 saldature per fare una sedia ecco che questo non è un oggetto di design.Il design è un progetto industriale. Immaginate  un pezzo di un auto che deve essere assemblato.   – spiegava agli architetti che andavano a trovarlo. – Il designa  è democratico.-
La serialità permette a tutti di possedere quel pezzo. E ancora : – La produzione è linguaggio, poesia. La gente oggi, che seguita a non leggere libri, è costretta a leggere gli oggetti.-
Dino Gavina è l’espressione pura della fabbrica. Di idee. Di Idee che possono essere realizzate nella condivisione di altre idee. Proficua e lunga è la collaborazione con  Carlo Scarpa – questo delizioso amico che io utilizzo a sua insaputa- asseriva.
– Dino ho fatto un tavolo meraviglioso! – esclamava un entusiasta  Carlo Scarpa –  pensa pesa 300 kg!-
– Ma te sei matto!!!!-

Americo Moretti, che lavorò  come addetto alle vendite negli anni Novanta mi racconta com’ era l’ambiente della SIMON : “ A quei tempi nella fabbrica lavoravano circa ottanta operai  e solo negli uffici eravamo una quindicina.Fui assunto da Dino Gavina in persona   anche se provenivo dal settore assicurativo.”  La sua socia  Maria Simoncini  gli disse  :
” Ma Dino lui non ha nessuna  esperienza in questo campo !”
“ Meglio!  Ha una mente più pura e ricettiva.”
Dalla storia della Simon emergono momenti significativi per la qualificazione del mobile di design italiano a partire dagli anni Settanta, e che hanno sempre a che fare con il metodo della produzione industriale.
A fianco della operazione Ultrarazionale c’è Kazuhide Takahama, architetto giapponese che lavorerà a lungo con la SIMON e che ne progetta anche la fabbrica.  Sua la famosa sedia Tulu  che esegue  in armonia e in  contemporanea all’altrettanto famoso  tavolo Doge  e fu scelta da Carlo Scarpa  proprio per quel tavolo.
Carlo Scarpa e Kazuhide Takahama divennero così il baricentro della nuova azienda.
Dopo l’esperienza dell’Ultrarazionale nel laboratorio estetico di Dino Gavina si passò all’operazione Ultramobile. Il manifesto è del 1971 e recita così : “ La tua casa /è abitata dagli oggetti/le sedie i tavoli/ le poltrone gli scaffali/sono per te/dei torpidi animali imprevedibili/ che una consuetudine / di forme/ e di coabitazione/ ha reso opachi/statici/senza vita/oggetti che ci sono/perché ci sono/ ma noi vogliamo che ogni oggetto emerga/ in fondi ai corridoi/ al centro delle stanze/ come un’apparizione/ realizzando a pieno/ la magie del suo essere/ lo stupore/ che muta una presenza in esistenza/ non vogliamo abolire/ la nuda proporzione rigorosa/ dell’oggetto che abita lo spazio/ con la forza concreta di una cosa/ fatta dall’uomo per servire l’uomo/ noi abbiamo altre mete:/ la tua immagine/la meraviglia/ che esistano le cose/ che tu possa toccarle/abitarle/ renderti loro complice/ che tu viva con loro/ che un mobile possieda/ una propria follia/ meravigliosa/ l’oscura sensazione/ che una sedia è vivente/ come una rosa.”

Capito che roba? I mobili di poesia o mobili mutanti, quelli che oltre a rispondere ad un esigenza funzionale, rispondono anche al bisogno di una presenza poetica negli ambienti domestici. L’operazione artistica Ultramobile rafforza il sodalizio con artisti del calibro di Man Ray, Sebastian Matta, Meret Oppenheim.Chi non ricorda lo specchio  les grands  trans – Parents? E la poltrona  MAgriTTA , omaggio di Sebastian Matta a Magritte, quella con la mela verde e la bombetta.
E la poltrona Ron Ron del 1972, una poltrona/animale dotata di coda?
Il sovversivo Dino Gavina, così si presenta nei suoi biglietti da visita, è in continua ricerca e in continuo contatto con tanti altri artisti: da Marcel Duchamp a Marcel Breuer e Lucio Fontana, , con i fratelli Castiglioni,Alberto Giacometti , Novello Finotti, Allen Jones,  con gli architetti Ignazio Gardella e Luigi Caccia Dominioni.
“ Lavorare con lui era uno spasso ma anche molto impegnativo-  racconta  ancora Moretti – ogni giorno era diverso dagli altri”

Un altro segno, un’altra avventura industriale: l’operazione Metamobile   del 1974, ovvero la produzione di un kit per l’autocostruzione di mobili poveri ed essenziali, ad estetica garantita. Della serie: “ i ricchi devono essere liberati dal kitsch per ricchi e i poveri altrettanto, meta mobile propone e adatta ,accanto a opere di celebri designers, il progetto anonimo. “ Un fenomeno che anticipa i tempi e che vedrà dieci anni dopo, l’esplosione della commercializzazione televisiva del mobile kitsch a prezzo basso.
Si presentano i mobili con due kit: 1) quello con tavole da comporre e 2) mobile finito.
Socialmente non si può andare oltre, dice. “ La vera felicità è di non avere mai niente di più di quello che ti serve veramente”. Ci sono molti modelli di Enzo Mari e di Carlo Scarpa, studi che si concludono con una mostra alla Galleria Milano nel ’74 con un catalogo del centro Duchamp “ proposta per auto progettazione”.

Ciò che Gavina sottolinea e approfondisce è il rapporto tra l’industria e il mondo dell’arte. A Bologna frequentava i circoli teatrali dove trovava Damiani e Bolchi, visitava musei e gallerie d’arte continuamente.
I luoghi di Dino Gavina, dalla sua casa di Foligno a Bologna, a Fano, Milano, Torino, Firenze) si trasformarono in contenitori non tradizionali di iniziative artistiche.
A Roma inaugura uno spazio in via Condotti dove gli ospiti non vedono i suoi mobili, ma i ready made di Marcel Duchamp che poi  afferma “ è stata la più bella mostra che abbia mai avuto”.
Nel ’69 è ufficialmente costituito il Centro Duchamp a Bologna San Lazzaro.  “ Con qualche risorsa invece di acquistare un appartamento – racconta Gavina –  decisi di costituire il centro Duchamp.  Anche se dopo un po’ vidi girare un po’ troppe mezze calze. I mediocri producono solo grane e naturalmente non sono mai soddisfatti. Se una persona ha qualità è sempre in disparte, non traffica per mettersi in vista, studia, medita, lavora, Quindi deve essere ricercato e stanato.”
Che meraviglia leggere questi passi, in un epoca dove tutti cercano di farsi conoscere, di emergere, lui l’ industriale estetico,  ci dà lezioni su come riconoscere colui che ha più  qualcosa da dire rispetto agli altri ma lo fa non sapendolo.  E mi vengono in mente le prime parole di  E. H.Gombrich nella sua “ Storia dell’arte:  “ Non esiste in realtà una cosa chiamata arte. Esistono solo gli artisti: uomini che un tempo con terra colorata tracciavano alla meglio le forme del bisonte sulla parete di una caverna e oggi comprano i colori e disegnano gli affissi pubblicitari, e nel corso dei secoli fecero parecchie altre cose.”
Oggi ,nonostante i richiami ufficiali del mondo politico sulla sinergia tra arte e industria e le agevolazioni che può trarne quest’ultima detraendo le spese  dalle tasse,  gli imprenditori come Dino Gavina sono letteralmente scomparsi.
Mi viene da pensare che abbiamo raggiunto il vero dualismo platonico tra spirito e materia, nonostante i richiami all’unità dalle correnti new age  di origine induista. Non è buon segno. La società odierna ci spinge a settorializzare  il nostro lavoro, perché ogni attività è resa sempre più complessa da una burocrazia sempre più elefantiaca che ci sta alienando. E ci consegna direttamente ad un nuovo Medio Evo.
Mi resta solo da ricordare con nostalgia a quel mondo, fatto di rischi e di azzardi artistici  e di uomini che sapevano osare, in un Italia che non esiste più ma  nel quale anche  le Marche  ne hanno fatto grandemente parte.{:}{:en}

– Why do you ask a piece of advice to your working partners, if you do as you please? –

This was the question that Maria Simoncini asked often to Dino Gavina – the subversive entrepreneur, so he liked to be defined when he gathered his staff to ask for an opinion. In fact, he liked to do everything or almost everything as he pleased, the “aesthetic worker”, as the young Vittorio Sgarbi describes him in the preface to the book “L’avventura del Design: Gavina”, published by Jaca book: the industrialist that deals mainly with everyday life, the main character of the “home landscape”.

It makes me think that, when it comes to landscape, the region Marche is always involved, I don’t know why. Since when I was a child I had to deal with Dino Gavina’s furniture, indirectly. My godmother and friend of my older sister ran and still does a beautiful furniture store in the old town of Ancona, where they sold these strange objects that aroused great curiosity for me. I was ten years old and the table with hen paws (traces of Meret Oppenheim, inspiration for Man Ray) transported me into the world of Walt Disney’s “Fantasia”, the movie I had seen in those days, I could imagine that from all of a sudden it could turn round in a pirouette starting to dance.

It was in the early Seventies and you could breathe freedom and desecration spirit, which always follow a period of extraordinary economic well-being, lurking in everywhere, even in my hometown Ancona. I could see this in my family, since my older brothers were all trying to break up with tradition, starting from the furniture. My sister, when she earned her first salary as an employee, completely changed her bedroom: on the beautiful granite floor of the Thirties she applied a red wall-to-wall-carpeting, bought a strange wicker bed from his fellow furniture maker, replaced the abat-jour with a “Flos” (a steel wire on which a removable lamp runs). I looked up at her in ecstasy. It was these objects that attracted me, languages ​​that came from a prepositive north, as I was told, from the rich Milan that was spreading new artistic values. While my grandma / aunt brought me to see the tomb of Canova in the Frari church in Venice, the young crazed in the family showed me a reflection of a world of ideas that came from these strange multifaceted objects, some even equipped with fur, in beautiful show in the nearest shop.

I could never imagine that many of these pieces of furniture were not manufactured in the faraway Milan: they were manufactured in my region Marche instead, and more precisely in Calcinelli, very close to Fano, and the factory was called Simon International. The company Simon International was funded in 1968 by the entrepreneurial experience of Gavina Spa, following the long collaboration with Maria Simoncini, from which the name and its managing director. Gavina spa was later sold to Knoll with the intention of combining finance and ideas with Dino who becomes responsible for the image of both companies, but shortly afterwards he realizes how much difficult it was to combine and perhaps that is why Simon International was funded. An operation stemming from an “Ultra-rational” project, a term that expresses the will to go beyond rationalism, while maintaining the rules of industrialization, and which revises shapes and dimensions. From here the rules of Italian design get laid down, which, according to Gavina, is nothing more than an industrial project.

– If 50 welds need to be made to manufacture a chair, then this is not a design object anymore. Design is an industrial project. Imagine a piece of a car that has to be assembled. He explained to the architects who were visiting him. – Design is democratic. – The seriality allows everyone to own that piece. And again: – Production is language, poetry. People today, who hardly ever read books, are forced to read the objects. –

Dino Gavina is the pure expression of the factory. Of ideas. Ideas that can become real only when shared with other ideas. It is profitable and long the collaboration with Carlo Scarpa – this delightful friend I use without him knowing it – he asserted.

– Dino, I made a wonderful table! – exclaimed an enthusiastic Carlo Scarpa – its weight is 300 kg!

– You must be definitely crazy !!!! –

Americo Moretti, who worked as salesman in the Nineties, tells me how was the work environment at SIMON: “At that time around 80 workers were working in the factory, and only in the offices we were fifteen. I was hired by Dino Gavina in person, even though I came from the insurance field. […] Her working partner Maria Simoncini told him: “Dino, he has no experience in this field!” and he replied “This is much better! He has a cleaner and more receptive mind”.

From Simon’s history emerge significant moments in the development of Italian design furniture from the Seventies, and they always have to deal with the industrial production method. Next to the Ultra-rational is Kazuhide Takahama, a Japanese architect who will work with SIMON for a long time and will also design the factory. The famous Tulu chair was designed by Takahama and developed in harmony and at the same time of the famous Doge table, and Carlo Scarpa chose the chair for that table. Carlo Scarpa and Kazuhide Takahama thus became the center of gravity of the new company.

After the extraordinary experience of Ultra-rational in Dino Gavina’s aesthetic laboratory, he moved to the Ultra-furniture operation. The manifest was published in 1971: “Your home / is inhabited by objects / chairs tables / armchairs shelves / are for you / unpredictable animals / that familiarity / of shapes / and cohabitation / rendered opaque / static / lifeless / objects that are there / because we want them / but we want every object to emerge / into the corridors / center of the rooms / as an apparition / realizing the full / magic of its being / the amazement / changing a presence in existence / we do not want to abolish the naked rigorous proportion of the object that inhabits space / with the concrete force of a thing / made by man to serve man / we have other goals: / your image / wonder / things that exist / that you can touch them / live them / make them accomplice / that you live with them / that a furniture possesses / its own madness / marvelous / the dark feeling / that a chair is living – [full of life] / like a rose.”

Great stuff, indeed. The furniture made of poetry or mutant furniture, those that in addition to responding to a functional need, also respond to the need for a poetic presence at home. Ultra-furniture’s artwork strengthens the partnership with artists such as Man Ray, Sebastian Matta, Meret Oppenheim. Who does not remember the mirror “les grands trans-Parents?” and the “MAgriTTA” armchair, Sebastian Matta’s homage to Magritte, the one with the green apple and the bowler hat. And Ron Ron’s armchair of 1972, an armchair / animal fitted with tail?

The subversive Dino Gavina, that is how he liked to be introduced, is constantly searching and in constant contact with many other artists: Marcel Duchamp and Marcel Breuer and Lucio Fontana, with brothers Castiglioni, Alberto Giacometti, Novello Finotti, Allen Jones, with architects Ignazio Gardella and Luigi Caccia Dominioni.

“Working with him was amusing but also very challenging,” Moretti says, “every day was different from the others”.

Another sign, another industrial adventure: the Meta-furniture operation in 1974, or the production of a kit for the manufacturing of poor and essential furniture – aesthetics guaranteed. Of the series: “Rich people should get rid of the rich’s kitsch and the poor should do the same as well, Meta-furniture proposes and adapts, alongside the works of famous designers, the anonymous project.” A phenomenon that anticipates the times and ten years later there will be the explosion of the TV commercialization of the kitsch furniture at a low price.

There are furniture with two kits: 1) one with tables to compose and 2) finished furniture.

Socially, one cannot go any further, he says. “True happiness is to have nothing more than what you really need.” There are many models of Enzo Mari and Carlo Scarpa, which conclude with an exhibition at the Galleria in Milan in 1974 with a catalog of the Duchamp center “proposal for car design”.

What Gavina emphasizes and develops is the relationship between industry and the Arts. In Bologna he attended the theatrical circles where he found Damiani and Bolchi, visiting museums and art galleries continuously.

The places of Dino Gavina, from his house in Foligno, Bologna, Fano, Milan, Turin, Florence turned into non-traditional containers of artistic happenings.

In Rome he opens an area in Via Condotti where guests do not see his furniture, but Marcel Duchamp’s “ready made”, which then says that “it was the most beautiful showroom I ever had”.

In 1969 it was officially formed the Duchamp Center in Bologna San Lazzaro. “With some resources instead of buying an apartment – says Gavina – I decided to set up the Duchamp center. Although after a while, I could see too many bad artists. The mediocre people produce only problems and of course, they are never satisfied. If a person has qualities he is always apart, he does not commercialize to show, he studies instead, meditates, works: so he has to be researched and found”.

What a surprise to read these words, in an era where everyone is trying to show off and get acquainted, to emerge, the aesthetic industrialist, gives us a lesson on how to recognize the one who has more to say than the others but does not know it. And I recall the first words of E. H. Gombrich in his “History of Art:” There really is not a thing called Art. There are only artists: men who once painted the earth to the best of the bison shapes on the wall of a cave, and today they buy the colors and draw advertising posters, and in the course of the centuries did several other things”.

Today, despite the official calls from the political world on the synergy between Arts and industry and the benefits that it can take from the tax deduction, entrepreneurs such as Dino Gavina have literally disappeared.

It is to my mind that we have come to true platonic dualism between spirit and matter, despite the recall of unity from the New Age of Hindu origin. It’s not a good sign. Today’s society drives us to segmentize our work, because every activity is increasingly complicated by an increasingly elephant bureaucracy that is alienating us. And it sends us directly to a new Middle Ages.

All I have to do is remember those times with nostalgia, made of risk and artistic dangers and of men who knew how to dare: the Italian country that no longer exists, but in those times, the region Marche has played a major character indeed.

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