La magia della notte del 24 giugno. Come fare l’acqua di San Giovanni
La notte di San Giovanni è stata dai tempi più remoti considerata una notte piena di magia. Il Santo di cui si tratta è quel San Giovanni Battista (Regno di Erode, fine Primo secolo a.C.) che fu il primo santo a riconoscere Gesù come Maestro e si dedicava a battezzare gli altri per la purificazione e la rinascita dello spirito. Anche Gesù si recò da lui per ricevere il battesimo. Insomma San Giovanni aveva dimestichezza con l’acqua (battesimo), con la luce e col fuoco (capacità di visione).
Secondo le credenze pagane durante questa festa, il Sole (fuoco) si sposa con la Luna (acqua). Da qui e dalla storia sacra derivano tutti i riti e gli usi dei falò e della rugiada, presenti nella tradizione contadina e popolare.
Nei giorni vicini al solstizio il sole rinvigorisce la terra e introduce la nuova stagione piena di fecondità e di magia, dove la natura si trova nel suo massimo splendore e bisognava celebrare queste forze per non incorrere in eventi avversi, come malattie o siccità o tempeste. Si racconta che col favore delle tenebre le streghe fossero solite riunirsi sotto un albero di noce per raccoglierne i frutti ancora verdi e preparare il nocino, liquore ritenuto terapeutico. Inoltre si procedeva all’accensione di fuochi, considerata un rito propiziatorio, purificante e in grado di scacciare demoni e prevenire malattie. Si credeva che i giovani danzanti intorno al fuoco e che saltavano sulle braci si sarebbero sposati o avrebbero avuto un figlio entro l’anno. La cenere poi veniva sparsa nei campi a protezione dai parassiti.
Pare che la rugiada caduta nella notte tra il 23 e il 24 giugno sia la rugiada degli dei che benedice i nuovi nati. Per questo anche nelle campagne marchigiane si conosceva l’usanza di fare in questa notte l’acqua di San Giovanni, per lavare con essa, la mattina successiva, i bambini in modo da donare loro forza e protezione da malattie e malocchio.
Cosa è rimasto di queste antiche usanze?
Forse la tradizione che ancora vive in tutta la regione è quella di fare l’acqua di San Giovanni. Addirittura vengono organizzati incontri per perpetuare questo rito. Se ne hanno notizie in quel di Cingoli, dove un agriturismo celebra e fa celebrare tale consuetudine. Nel pesarese all’alba del 24 giugno le donne si ritrovano per aspettare il sorgere del sole in riva al mare, secondo le tradizioni connesse a questo magico giorno. Nelle campagne di Jesi sono molti gli anziani che ricordano i riti della notte magica, anche se poche sono le famiglie che li praticano ancora. A Fabriano nelle case tuttora si raccolgono fiori e foglie, convinti che “la guazza di Santo Gioanno fa guarì da ogni malanno” e la Cartiera da qualche anno realizza La Carta Di San Giovanni, impastata mescolando fiori e foglie insieme alla cellulosa. A Macerata i fiorai vendono mazzetti di erbe atti a fare una buona acqua. Nel Piceno, dove suona lo stesso detto di Fabriano, in tante famiglie si perpetua questa abitudine che anche i pochi giovani raccolgono volentieri.
Ma come si fa e come si usa l’acqua di San Giovanni?
E’ un procedimento semplice e alla portata di tutti. Vale la pena di fare l’esperienza.
Consta di tre fasi: – raccolta delle piante che vuol dire conoscenza e rispetto – esposizione dell’acqua alla notte che indica abbandono e fiducia – bagno con l’acqua che rappresenta purezza e rinascita.
Bisogna raccogliere il 23 giugno un insieme di erbe e fiori di vario tipo: ginestre, papaveri, fiordalisi, petali di rosa, gelsomini, caprifogli, fiori di sambuco, garofanetti, ranuncoli, lavanda, camomilla, foglie profumate come menta trifoglio, timo, origano, amaranto, basilico, salvia, rosmarino, mentuccia, malva, foglie di noce e di alloro, artemisia (l’erba di Diana-Artemide), finocchio selvatico, avena, e tutte quelle che si possono reperire. Ma non dovrebbe mancare l’iperico, chiamato appunto erba di San Giovanni, che possiede proprietà farmaceutiche. In ogni caso il risultato sarà positivo anche se non si troveranno tutte le erbe elencate.
Una volta raccolti, al tramonto erbe e petali vanno adagiati in un catino colmo di acqua fresca, che verrà sistemato all’aperto (in mancanza di altri spazi va bene anche il davanzale della finestra) in modo che possa ricevere il beneficio dei raggi della luna e della rugiada.
La mattina seguente si inizierà la giornata con le abluzioni di questo infuso che nella notte ha raccolto sostanze e profumi inebrianti e freschi. Al di là di credenze e riti, di storie e tradizioni, risulta una eccezionale delizia e un piacere ineffabile.
Provare per credere!
Carla Virili