Quando si parla di Nicola di Maestro Antonio non si può non tener conto del fatto che nessuna delle sue opere sia rimasta nella città che gli ha dato i natali.
Qualcosa è a Jesi e a Urbino, nella Galleria Nazionale delle Marche, ai Musei Vaticani, a La Spezia e al Museo di Torino. Tutto il resto si trova all’estero: a Oxford, Londra, addirittura oltreoceano : Pittsburgh, New York, Baltimora.
E pensare che la maggior parte delle tavole provenivano tutte da un unico luogo: la Chiesa di San Francesco alle Scale in Ancona. Mi viene da piangere solo al pensiero.
E ” piangere la perdita di un opera d’arte non è diverso dal piangere un uomo”, afferma Umberto Galimberti.
Farsi troppe domande a volte non è bene e tocca nervi scoperti: Ancona ha sempre avuto un modo tutto suo di trattare la cultura in generale – Il nonno di Ciriaco Pizzecolli così descriveva la città :
totam non liberalibus studiis sed mercemoniis dedita (tutta dedita non agli studi liberali, ma al commercio) – ma forse sarebbe tempo che le autorità competenti organizzassero una mostra che raccolga tutte le opere di questo straordinario pittore così da farlo conoscere agli anconetani e non solo.
E.H. Gombrich dice: ” in fondo non esiste l’arte, esistono gli artisti, e si può rovinare un artista sostenendo che la sua opera è ottima a suo modo ma non si tratta di arte, in fondo, ma di qualcos’altro.”
Oppure si può fare qualcosa di molto peggio: dimenticare l’artista, compiere una vera e propria rimozione.
Cosa ne sappiamo di lui e della sua vita? Poco o niente. E’ figlio di Antonio di Domenico di Neri di Lapino, pittore anche lui, emigrato in Ancona così come numerosi esuli fiorentini, alcuni davvero illustri, come Felice Brancacci, il committente di Masaccio a Santa Maria del Carmine in Firenze e Rinaldo degli Albizi, uno degli uomini più potenti della fazione anti medicea nei primi decenni del Quattrocento. Nicola nasce intorno tra il 1445 il 1450 e di lui si comincia a far menzione attorno al 1465, con la sua parabola pittorica che inizia con la Pala Ferretti.
Ciò che colpisce è l’armonia del dipinto e al tempo stesso una disarmonia di elementi in apparente contraddizione tra loro: il pavimento a scacchi e il baldacchino, il vaso di fiori e la mosca , lo sfondo di campagna e il pannello con il racemo ricamato a metà, per non parlare dei quattro santi con Giovanni dal viso sofferto, i contorni taglienti le gambe nude, deformi, da sopravvissuto dell’Apocalisse. Francesco e Leonardo scuri in volto. Un’alchimia di elementi e figure, personaggi che giocano come in una partita a scacchi la gara della vita, nella ricerca di un più alto grado di conoscenza ( libro) che illumina l’uomo e lo rende divino.
Antonio è figlio del suo tempo, è prospettico e icastico, prende spunto da Piero della Francesca , che tra l’altro pare abbia vissuto anche in Ancona e dal Crivelli.
Altro capolavoro è la Pala Massimo seguita dalla predella dove sono raffigurati San Giovanni decollato e San Lorenzo, l’Annunciazione, Sant’Antonio e la lunetta del Cristo risorto. Mirabile composizione di personaggi e scene, come quella della lapidazione di Santo Stefano.
Ancona nel Rinascimento è stata un crocevia di personaggi di rilievo, da Papa Enea Piccolomini, al passaggio dell’ultima stirpe degli imperatori bizantini, da Ciriaco Pizzecolli a Piero della Francesca, per non parlare di artisti come Giorgio da Sebenico e Giovanni Dalmata.
Una città da sempre sospesa tra Venezia e il Levante, tra l’Appennino e l’Adriatico.
E il pennello di Nicola di Maestro Antonio è stato un elemento aggiunto di grande spessore artistico e culturale.