E’ incredibile scoprire che in una delle regioni più pontificie d’Italia quali sono le Marche, una piccola statuetta, un’ idola steatopigia che si può comunemente trovare nelle Cicladi, luogo minoico per eccellenza, e ancora prima pelasgico, sia stata invece rinvenuta vicino ad un santuario dedicato alla Madonna, dove è stato costruito un tempietto dal Valadier, ovvero a Frasassi, vicino alle grotte. Incredibile e allo stesso tempo naturale, perchè l’immagine femminile è sempre contemplata, solo in modalità diverse in quanto rappresentanti di civiltà diverse.
La figurina rinvenuta, denominata ” Venere di Frasassi” è alta cm 8,7 ed è tenuta giustamente sottoteca , come una preziosa reliquia , in una stanza tutta per sè , al Museo Archeologico di Ancona. La descrizione non è esaustiva anche se piuttosto precisa nel periodo di riferimento – ovvero il Paleolitico Superiore – tuttavia non spiega il motivo per cui queste figure venivano realizzate. Perchè questa forma intendo, perchè femminile, perchè questa pancia così gonfia, perchè queste natiche così grandi.
Jung ci viene in aiuto: “era la magica rappresentanza del femminile, la saggezza e l’elevatezza spirituale che trascende i limiti dell’intelletto. Era ciò che favorisce la crescita, la nutrizione, i luoghi della magica trasformazione e della rinascita, l’istinto o l’impulso soccorrevole, ciò che è segreto, occulto, tenebroso. L’abisso, il mondo dei morti, ciò che divora e seduce, intossica”.
In una parola: la Dea Madre. Il culto della dea Madre era il culto della Dea bianca, ovvero la Luna, feconda, nutriente, magica, creativa, poetica. Al femminile, un tempo, molti ma moltissimi anni fa, si attribuiva un grande potere.
Scrive Robert Graves: ” il linguaggio della Musa, ovvero la dea Luna, sia nel Mediterraneo che nell’Europa settentrionale fù manomesso verso la fine dell’epoca minoica, quando invasori provenienti dall’Asia centrale cominciarono a sostituire alle istituzioni matrilineari quelle patrilineari.”
I filosofi cominciarono a sentirsi minacciati dal potere misterico della Dea, e opposero la logica, alla magia e all’incanto che la Luna offriva, pianeta per antonomasia dei poeti, posero la ragione del Dio Sole, chiaro , forte come la verità che però vera assoluta non è mai in quanto acceca. Tu non puoi vedere a lungo il Sole ma la Luna si. Spesso, quando un dubbio ci assale , siamo usi dire: ” ci penserò la notte”. Nel tempo notturno della Dea accadono cose che di giorno non lavorano: sono i nostri spiriti inconsci, il nostro vero tesoro. E di questo potere i filosofi avevano timore. Dice Socrate: ” i campi e gli alberi non mi insegnano nulla, gli uomini si”. Ne siamo proprio sicuri?
E’ proprio con il tempo che impariamo che la logica, la ragione delle cose, non sempre sta da una parte sola. E alla fine, troppo Sole disseca la terra, mentre la Luna muove le maree e la crescita del seme sulla terra, sulle piante, agisce persino su noi umani.
Il linguaggio degli uomini, da Socrate in poi, divenne razionale e apollineo. Da allora in poi, prosegue Graves, la visione apollinea ha dominato incontrastata nelle scuole e università europee, dove i miti oggi sono considerati curiosi relitti di un’umanità infantile. Socrate fù il più intransigente, il suo motto era: ” conoscere la ragione dell’essere in ogni cosa, rifiutando tutte le opinioni di cui non si può dar conto”.
Volgendo le spalle alla dea Luna che ispirava gli uomini e che imponeva all’uomo di rendere omaggio spirituale e sessuale alla donna, Socrate ideò il famoso ” amore platonico”, ovvero il sottrarsi al potere della dea: il suo rifugio nella omosessualità intellettuale era però offensivo in quanto considerato un tentativo maschile di rendersi spiritualmente autosufficiente. La sodomia era altamente tollerata ma non la conoscenza apollinea di sè stesso senza lasciarla invece attraverso una moglie o un’ amante. Alla fine, la Musa si vendicò non solo trovandole una moglie bisbetica dirottandolo verso Alcibiade che diventò vizioso e traditore, ma Socrate morì, punito per aver corrotti i giovani ateniesi, costretto a bere la velenosa cicuta, pianta sacra a Ecate, la luna calante.
Tutto questo è molto affascinante e ci pone più di una domanda, una fra tutte: anche noi delle Marche proveniamo dai Pelasgi, ( che significa : navigatori) ovvero la prima popolazione che abitò la Grecia ? Ed arrivarono non solo nelle coste ma si addentrarono fin nell’interno della regione ?
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